«Franco, non mollare»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Franco.

«Avevo appena finito il militare quando sono partito per la Germania. Un paese freddo che mai avrei preso in considerazione se non fosse stato per la voglia di fare una nuova esperienza, insieme a quel gruppetto di amici che insieme a me volevano cercare un lavoro all'estero.

Pensavamo di fare qualche soldo e poi ritornarcene in Italia. Avevamo sentito di paesani diventati ricchi in poco tempo e una parte di noi voleva crederci. Anche se di quei paesani non avevamo più notizie e alcun contatto. 

Una volta arrivati a Monaco di Baviera però le cose non sono andate come previsto. Il cielo grigio, la gente che non sorrideva mai. E poi la lingua. Senza saper dire una parola dove volevamo andare? 

Un po' alla volta,i miei amici risalirono su quel treno che carico di speranza ci aveva portato fino alla stazione centrale. 

Avrei voluto tornare anche io. 
Quante volte avrei voluto riprendere i miei stracci e tornare nella mia terra. 
Da solo e senza saper dire una parola non sapevo da che parte sbattere la testa. Bussavo alle porte delle fabbriche, dei ristoranti, dei cantieri. 

Dopo un po' trovai lavoro come lavapiatti in un ristorante dove c'era anche un telefono. 
Potevo telefonare al bar del mio paese ad orari prestabiliti e farmi passare mio padre o mia madre. 

Mio padre andava vestito elegante al bar e aspettava la mia telefonata. Una volta mi disse una frase che ancora oggi mi tuona nella testa: "I tuoi amici sono qui seduti che giocano a carte. Tu non mollare". 

Ogni tanto me li passava i miei amici. Mi dicevano anche loro "Franco non mollare, qui non si sta bene, non c'è speranza. Resta in Germania che almeno guadagni qualcosa"

I sacrifici che ho fatto per mettere da parte qualche soldo non si possono elencare. 
Erano duri quei tempi e qui non c'era tanta voglia di giocare a carte dopo una giornata di duro lavoro. 

Imparai la lingua e riuscii a farmi assumere come cameriere nello stesso ristorante. Si guadagnava bene e con la mancia ancora meglio. 

Dopo anni di duro lavoro ho aperto il mio ristorantino con  pochi posti, ma io ero orgoglioso quando i miei clienti ritornavano. Ero felice anche se pieno di debiti. 

Non potevo permettermi di scendere in vacanza perché chiudere un ristorante significa rinunciare a guadagnare qualcosa. Mi è mancata tanto la mia famiglia. La mia terra. La mia gente. 

Gli affari sono andati bene e quelle quattro mura le ho comprate. Ora è tutto più grande. Ed io posso permettermi di scendere in vacanza e pagare qualcuno che tenga comunque il ristorante aperto. 

Quando incontro i miei vecchi amici, nel nostro paesino italiano che sembra essersi fermato a tanti anni fa, li trovo quasi sempre seduti al bar in orari di lavoro. 
La fortuna ha voluto che le raccomandazioni di qualche politico li impiegasse tutti in posti dove qualcuno timbra a turno il cartellino per gli altri. 

Grazie ai favori degli amici di amici, hanno uno stipendio sicuro, una manna caduta dal cielo, la certezza del posto fisso che io non ho mai avuto e che loro sembrano disprezzare. 

Se ho fatto fortuna come sognavo da ragazzo è perché ogni volta che ho pianto per la stanchezza , mi tornava in mente la voce di mio padre che mi diceva: "Franco, non mollare". 

Anche oggi i miei amici giocano a carte. Sorridono. 
Ci salutiamo, ma qualcosa è cambiato. Vedo nei loro occhi una nota di invidia. Mi guardano come se io avessi ottenuto quello che ho non per merito o capacità. 
Mi guardano come guardano uno che nella vita ha avuto la strada spianata. Ignorano i miei sacrifici, forse perché di sacrifici nella loro vita non ne hanno fatto per niente. 

Loro, tutti con il posto fisso, si lamentano della crisi che c'è in Italia e mi ripetono: BEATO TE CHE SEI ALL'ESTERO». 


Franco. 

Raccontat anche la tua storia a buongiornomonaco@gmail.com 
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7.3.20
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